CTO esterno per le PMI: comprendere i Processi Aziendali
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CTO esterno per le PMI: comprendere i Processi Aziendali

Tutti i vantaggi di avere un CTO

A126 Team 9 min di lettura

CTO Esterno per PMI: Perché la Guida Tecnologica che Comprende i Processi Aziendali È il Vero Vantaggio Competitivo

Solo l'11,3% delle PMI italiane ha specialisti ICT interni, contro il 74,5% delle grandi imprese. Un CTO esterno con competenze trasversali può colmare questo gap strategico senza i costi di un'assunzione a tempo pieno.

C'è un paradosso che caratterizza il tessuto imprenditoriale italiano: le PMI rappresentano la spina dorsale dell'economia nazionale, eppure sono proprio loro a trovarsi più spesso senza una guida tecnologica strategica. Non parliamo di mancanza di strumenti digitali, quelli ci sono e spesso in abbondanza. Il problema è un altro: manca chi sappia collegare questi strumenti ai processi aziendali, chi trasformi la tecnologia da costo a leva competitiva.

La figura del Chief Technology Officer (CTO) è stata tradizionalmente appannaggio delle grandi aziende, quelle con budget IT a sei zeri e team di sviluppatori interni. Ma oggi questa visione è superata. Il modello del CTO esterno, noto anche come fractional CTO, sta emergendo come risposta concreta a un'esigenza che non può più essere ignorata: avere competenza strategica tecnologica senza dover sostenere i costi di una figura dirigenziale a tempo pieno.

Ma attenzione: non basta essere esperti di tecnologia. Il vero valore di un CTO, interno o esterno che sia, sta nella capacità di comprendere prima i processi aziendali e poi trovare le soluzioni tecnologiche adatte. È questa competenza ibrida che fa la differenza tra un consulente IT e un partner strategico.

Il divario digitale tra PMI e grandi imprese: numeri che parlano chiaro

I dati ISTAT del 2024 fotografano una situazione che dovrebbe far riflettere ogni imprenditore. Il 70,2% delle PMI italiane con 10-249 addetti ha raggiunto un livello base di digitalizzazione, ma solo il 26,2% si colloca a livelli definiti "alti". Il confronto con le grandi imprese è impietoso: il 97,8% di queste raggiunge almeno il livello base, e l'83,1% quello alto.

Ma il dato più significativo riguarda proprio la presenza di competenze interne. Secondo la rilevazione ISTAT, appena l'11,3% delle PMI impiega specialisti ICT, contro il 74,5% delle grandi imprese. È un divario di oltre 63 punti percentuali che non si colma acquistando software o assumendo un tecnico informatico.

La conseguenza diretta? Il 57,2% delle PMI italiane esternalizza completamente la gestione delle funzioni ICT, affidandosi esclusivamente a fornitori esterni. È una percentuale significativamente superiore alla media europea del 45,6%. Questo significa che più della metà delle nostre piccole e medie imprese non ha nessuno internamente che possa valutare se le soluzioni proposte dai fornitori siano realmente adatte alle proprie esigenze.

L'Osservatorio sulle Competenze Digitali 2024, realizzato da AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, conferma che tra gennaio 2023 e agosto 2024 sono stati pubblicati circa 184.000 annunci di lavoro per professionisti ICT su LinkedIn. Il 39% delle PMI del settore ICT dichiara difficoltà nel trovare professionisti con competenze adeguate. Non si tratta solo di scarsità numerica: mancano figure capaci di coniugare competenze tecniche e comprensione del business.

Cos'è un CTO e perché le PMI ne hanno bisogno

Il Chief Technology Officer è, secondo la definizione riportata da Wikipedia, un membro del consiglio di amministrazione aziendale incaricato di coordinare le tecnologie che possono essere usate per i servizi forniti dalla compagnia. Le sue responsabilità includono il monitoraggio delle nuove tecnologie, la valutazione del loro potenziale applicato a prodotti o servizi, e la supervisione dei progetti per assicurare che portino valore aggiunto.

Fin qui, la teoria. Nella pratica, il CTO è quella figura che risponde a domande come: "Dovremmo investire in un nuovo gestionale o integrare quello esistente?", "Questa soluzione cloud è sicura per i nostri dati?", "Come possiamo automatizzare questo processo senza stravolgere il modo di lavorare dei dipendenti?".

Per le grandi aziende, avere un CTO a tempo pieno è naturale. Circa il 60% delle aziende statunitensi, il 67% di quelle europee e il 91% di quelle giapponesi include stabilmente questa figura nel consiglio direttivo. Ma per una PMI italiana con 20, 50 o 100 dipendenti, assumere un dirigente con competenze di questo livello significa sostenere costi che raramente il budget può permettersi.

Eppure, proprio le PMI sono quelle che avrebbero più bisogno di una guida strategica. I dati ISTAT mostrano che una PMI su quattro (26,3%) non ritiene che alcun fattore tecnologico possa incidere sulla propria competitività nel biennio 2025-2026, contro appena il 7% delle grandi imprese. Questa percezione non deriva da una valutazione oggettiva, ma dalla mancanza di qualcuno che sappia mostrare le opportunità concrete.

Il modello del CTO esterno: competenze dirigenziali accessibili

Il fractional management è un modello che sta prendendo piede in Italia proprio per rispondere alle esigenze delle imprese di dimensioni contenute. Il principio è semplice: accedere a competenze manageriali di alto livello su base part-time o progettuale, pagando solo per il valore effettivamente utilizzato.

Applicato alla figura del CTO, questo significa avere a disposizione un professionista con esperienza dirigenziale che può guidare la strategia tecnologica dell'azienda senza i vincoli e i costi di un'assunzione tradizionale. Non si tratta di un consulente IT che risolve problemi tecnici puntuali, né di un project manager che coordina fornitori esterni. Il CTO esterno agisce come partner strategico, partecipando alle decisioni aziendali e allineando la tecnologia agli obiettivi di business.

Quando un CTO esterno è la scelta giusta

Esistono situazioni specifiche in cui il modello fractional rappresenta la risposta più efficace. La prima è quella dell'azienda in fase di crescita rapida: quando i processi che funzionavano con 15 dipendenti iniziano a scricchiolare con 40, serve qualcuno che sappia ripensare l'infrastruttura tecnologica in modo scalabile.

La seconda situazione è quella della trasformazione digitale non pianificata. Molte PMI hanno accumulato nel tempo software, gestionali e strumenti digitali senza una visione d'insieme. Il risultato è un ecosistema frammentato dove le informazioni non circolano, i processi si duplicano e nessuno ha il controllo completo. Un CTO esterno può rimettere ordine, definire priorità e costruire una roadmap coerente.

C'è poi il caso dell'azienda che ha risorse tecniche ma non strategiche. Magari c'è un responsabile IT competente nell'operatività quotidiana, ma che non ha la visione o l'esperienza per guidare decisioni strategiche. Il CTO esterno non lo sostituisce: lo affianca, lo potenzia, gli costruisce intorno una struttura di supporto.

Infine, il modello è ideale per progetti specifici ad alto impatto: il lancio di un e-commerce, la migrazione al cloud, l'integrazione di un nuovo ERP, l'implementazione di soluzioni di intelligenza artificiale. Sono tutti interventi che richiedono competenze specialistiche per un periodo definito, non necessariamente in modo continuativo.

La differenza che conta: capire i processi prima della tecnologia

Qui arriviamo al punto cruciale, quello che distingue un CTO realmente efficace da un semplice esperto di tecnologia. Il mercato è pieno di professionisti IT con competenze tecniche eccellenti che però falliscono nel portare valore alle aziende. Il motivo è quasi sempre lo stesso: propongono soluzioni tecnologiche senza aver compreso i processi aziendali.

L'errore più comune è partire dalla tecnologia anziché dal problema. "Vi serve un CRM" diventa la risposta standard a qualsiasi difficoltà nella gestione clienti, senza verificare se il problema reale sia nei processi commerciali, nella comunicazione interna o nella formazione del personale. "Dovete andare sul cloud" viene proposto come panacea universale, ignorando che per alcune aziende il cloud può introdurre complessità non giustificate.

Un CTO che conosce i processi aziendali opera in modo radicalmente diverso. Prima di tutto, ascolta. Capisce come l'azienda funziona realmente, non come dovrebbe funzionare secondo i manuali. Identifica i colli di bottiglia, le inefficienze, le resistenze al cambiamento. Solo dopo questa fase di comprensione inizia a valutare quali tecnologie possono effettivamente migliorare la situazione.

Questo approccio richiede competenze ibride che non si acquisiscono solo studiando informatica. Servono anni di esperienza sul campo, in contesti aziendali diversi, a contatto con imprenditori e manager di vari settori. È proprio questa esperienza trasversale che un CTO esterno può portare in azienda: ha visto situazioni simili, conosce cosa funziona e cosa no, sa anticipare i problemi prima che si manifestino.

Cosa può fare concretamente un CTO esterno per la tua azienda

Le attività di un CTO esterno si articolano su diversi livelli, dalla strategia all'operatività. Il punto di partenza è sempre una valutazione tecnologica: un'analisi approfondita dello stato attuale dell'IT aziendale, che identifica inefficienze, rischi e opportunità di miglioramento. Non si tratta di un audit tecnico fine a sé stesso, ma di una mappatura che collega ogni elemento tecnologico ai processi di business che supporta.

Da questa analisi nasce la pianificazione strategica: la definizione di una roadmap tecnologica che stabilisce priorità, tempistiche e investimenti necessari. Una buona roadmap non è un elenco di desideri tecnologici, ma un piano realistico che tiene conto delle risorse disponibili, della capacità di assorbimento del cambiamento da parte dell'organizzazione e degli obiettivi di business a breve e medio termine.

C'è poi l'attività di governance dei fornitori. Le PMI che esternalizzano l'IT si trovano spesso in una posizione di debolezza contrattuale e informativa rispetto ai propri fornitori. Un CTO esterno può fungere da "direttore dei lavori" tecnologico: valuta le proposte, negozia i contratti, supervisiona l'implementazione, verifica che quanto promesso corrisponda a quanto consegnato.

Non va sottovalutata l'importanza del trasferimento di competenze. Un buon CTO esterno non crea dipendenza: forma il team interno, documenta i processi, costruisce le condizioni perché l'azienda possa progressivamente gestire in autonomia ciò che ha imparato. L'obiettivo non è essere indispensabili, ma lasciare un'organizzazione più competente di come la si è trovata.

Infine, c'è il tema della sicurezza informatica. I dati mostrano che il 75,9% delle imprese italiane utilizza almeno tre misure di sicurezza, ma la qualità e l'efficacia di queste misure varia enormemente. Un CTO esperto può implementare best practice di cybersecurity proporzionate alla dimensione e al profilo di rischio dell'azienda, evitando sia la sottovalutazione del problema sia investimenti sproporzionati.

Un investimento, non un costo: la logica della sostenibilità reciproca

Uno dei freni principali all'adozione di figure manageriali esterne da parte delle PMI è la percezione del costo. È una preoccupazione legittima, ma che spesso nasce da un'incomprensione del modello. Il CTO esterno non è un dirigente a tempo pieno con stipendio fisso, benefit e costi accessori. È un professionista che interviene nella misura necessaria, con un impegno modulabile in base alle effettive esigenze dell'azienda.

Il principio guida dovrebbe essere quello della sostenibilità reciproca. L'investimento deve essere valutato insieme, azienda e consulente, affinché sia sostenibile per chi investe e generatore di valore reale. Non esiste una tariffa standard: esistono accordi costruiti sulle specifiche esigenze, che possono prevedere un impegno continuativo ridotto, interventi periodici, o un coinvolgimento intensivo su progetti definiti.

Quello che conta è il ritorno sull'investimento, che si misura in modi diversi: processi più efficienti che liberano tempo e risorse, decisioni tecnologiche più informate che evitano sprechi, rischi identificati e mitigati prima che diventino problemi costosi, opportunità colte che altrimenti sarebbero sfuggite.

È importante anche considerare il costo dell'alternativa: cosa succede a non avere una guida tecnologica? I dati ci dicono che le PMI che non investono in digitalizzazione strutturata perdono progressivamente competitività. Il 65% delle piccole e medie imprese ha intensamente investito nel digitale nel 2024, secondo gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. Chi resta indietro oggi avrà sempre più difficoltà a recuperare domani.

Guardare avanti: le sfide tecnologiche del prossimo biennio

L'intelligenza artificiale è il tema del momento, e i numeri confermano che non si tratta di una moda passeggera. L'adozione di tecnologie AI nelle imprese italiane è cresciuta dal 5% al 8,2% tra il 2023 e il 2024, con un incremento del 71% in termini assoluti. Le imprese di medie dimensioni (50-99 addetti) hanno registrato il balzo più significativo, passando dal 5,6% al 14%. La domanda di competenze in intelligenza artificiale è aumentata del 73% negli annunci di lavoro nello stesso periodo.

Ma l'AI è solo una delle sfide. Il cloud computing continua la sua espansione: il 29,3% delle imprese prevede di investirvi nel biennio 2025-2026. La cybersecurity resta prioritaria per il 53,8% delle aziende. La formazione informatica vede un interesse crescente, con il 44,3% delle imprese che pianifica investimenti, quasi il doppio rispetto al periodo precedente.

Queste non sono tecnologie che si implementano acquistando un software. Richiedono visione strategica, comprensione del contesto aziendale, capacità di gestire il cambiamento organizzativo. Sono, in altre parole, esattamente il tipo di sfide che un CTO competente sa affrontare. Per le PMI che vogliono cogliere queste opportunità senza improvvisare, avere accesso a questa competenza non è più un lusso, ma una necessità competitiva.

Il momento di agire è adesso

Il divario tra PMI e grandi imprese sul fronte delle competenze tecnologiche strategiche è reale e documentato. Ma non è un destino inevitabile. Il modello del CTO esterno offre una via d'uscita concreta: accesso a competenze dirigenziali di alto livello, flessibilità nell'impegno, costi proporzionati al valore generato.

La chiave sta nel trovare il partner giusto: non un tecnico che parla solo di tecnologia, ma un professionista che sappia prima comprendere i processi aziendali e poi individuare le soluzioni più adatte. Qualcuno che conosca il linguaggio del business oltre a quello dell'IT, che abbia esperienza in contesti diversi, che sappia tradurre esigenze operative in strategie tecnologiche sostenibili.

In A126 offriamo proprio questo: consulenza strategica tecnologica che integra competenze IT e comprensione dei processi aziendali. Non proponiamo soluzioni preconfezionate, ma costruiamo insieme ai nostri clienti percorsi di trasformazione digitale su misura, con investimenti valutati affinché siano sostenibili e generatori di valore per entrambe le parti.

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